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lunedì 24 ottobre 2016

Segmenti tattici e valenza del Bounce Rate


Mi è venuto in mente così, per caso. In realtà sto continuando a notare quanto l'awareness, anche quando impalpabile, porti maggiori conversioni. La presenza di campagne Display o di tutte le altre attività di presidio puro (push marketing), producono sicuramente "consapevolezza" del brand. E quindi garantiscono maggiori conversioni.

In questo contesto, continuavo a pensare al valore che assegno al Bounce Rate. Da sempre ritengo l'assenza di bounce un KPI fondamentale; ma di fatto, è altrettanto innegabile che il bounce è il frutto della moderna ricerca. Si entra, ci si guarda in giro e poi magari si torna. In un contesto del genere quale è il rimbalzo che si deve analizzare? Quello della sessione, o quello dell'utente?

Naturalmente è l'utente il nodo centrale. Oltretutto col discorso dei diversi device e via dicendo. Facciamo un esempio semplice. Dovete percorrere un'intera via per arrivare al negozio che desiderate. Mentre camminate scorgete una cosa che vi attira in una vetrina. Vi ci fermate davanti. Poi proseguite. Comprate quello che dovete nel negozio che puntavate e poi tornate nell'altro negozio, quello della vetrina, entrate e comprate.

Ecco... sulla base di questo mi è venuto in mente questo primo segmento.
Due visite un rimbalzo. 


Cioè la condizione è che l'utente sia entrato in contatto due volte col nostro sito, ma che una delle due volte abbia rimbalzato.

Ma lo scenario si è improvvisamente allargato a quest'altro segmento.


L'utente è tornato varie volte. Più di una e i suoi bounce però sono stati meno di due. Volendo anche zero. Ho definito questo segmento "Ritornati con (forse) un rimbalzo".
Mi serviva allora qualcosa di certo sui rimbalzi.
E ho generato quest'altro segmento. Più di una visita, ma 1 rimbalzo. Né più, né meno.


Chiaramente la situazione doveva essere tipica di qualcosa che non portasse a compulsioni di conversione. L'ho quindi testata su campagne di lead generation, non e-commerce. E per fare il test, ho usato il classico segmento "sessioni senza rimbalzo", per capire il comportamento degli utenti con rimbalzo, rispetto alle sessioni pure con assenza di rimbalzo.

Ovunque l'ho testato, in termini di tasso di conversione, ha dato risultati simili a quelli sotto.


Tutti i tre segmenti battono le sessioni senza rimbalzo. Ripeto... ovunque.
Un tentativo di analisi, che non dovete lasciarvi scappare!

giovedì 8 settembre 2016

Dissertatio sulle impression




Essere visibili, si. Per chi sa come ragiono, visibile significa costruire l'apparenza almeno su una base scientifica. Awareness di interesse come si suol dire (cioè come dico io). Ma esitono dei casi nei quali l'interesse può essere decisamente ampio. A quel punto, basta (ri)configurare la propria mente, affinché sia aperta a misurare metriche in modo diverso, sulla base di quanto è ampio un segmento.

Nel funnel tradizionale, l'awareness è all'inizio dell'imbuto. Ecco, immaginate che sopra a quello scalino, ne abbiamo altri 2. Dobbiamo solo trovare 3 modi per chiamare la stessa awareness.

A quale scopo? Intanto perché se lavoriamo di visibilità e aumentiamo le impression, di fatto possiamo scoprire quasi sempre in modo insindacabile, che maggiore è la nostra esposizione, maggiori sono le performance che otteniamo. Una spiegazione razionale?
Google in tempi non sospetti ha provato a dimostrare questa scienza consegnando in mano agli analisti le conversioni View-Through. Vedo, ma non clicco.
Poi se guardate i vostri rapporti, queste non ci sono praticamente mai. Vuoi perché il mondo è multi-device, vuoi perché l'esposizione è tale da farti cliccare prima o poi sul banner, vuoi perché se la conversione Display avviene come assit alla conversione Search, non viene contata... Vuoi cosa ti pare, ma poi è indimostrabile che vedere = risultato.

Eppure in assenza di grande visibilità, vi è anche calo di risultato. Non a caso The Art of SEO in una delle sue edizioni dice - se non ricordo male (punto più, punto meno) - che essere contemporaneamente visibili in organica e a pagamento, produce un aumento del 20% del tasso di clic relativo (cioè da 3%, si va al 3,6%).

Tutti dati che però, in un mondo diabolicamente collegato alla prova concreta, sembrano dare credito a chi, ereditando i parameri del vecchio mondo offline, riteneva che l'importante fosse esserci. Chi se ne infischia se poi non è misurabile. In un contesto del genere, l'awareness si misura come le arance. A peso. Più sei visibile, meglio è, e ha funzionato!
Crolla quasi completamente il concetto di awareness di interesse(?). O meglio... bene essere visibili a quegli utenti che potrebbero essere più vicini ad acquistare da noi. Ma meglio ancora ragionare al contrario. Vale a dire lavoriamo per non essere visibili a chi non comprerà mai da noi.
Lo stesso concetto, ma ribaltato.

Cioè... se vendo formaggio, voglio che chi compra il formaggio mi veda. Ma perché non potrebbe vedermi anche semplicemente a chi piace il formaggio? In realtà, basta che non mi veda un vegano... o un intollerante al lattosio... ma poi per il resto, tutti sono miei potenziali clienti. E a tutti mi voglio mostrare, configurando chiaramente diverse aspettative di risultato.

mercoledì 2 settembre 2015

5 funzioni di AdWords che vengono spesso dimenticate

Nella sua natura e per sua complessità, sappiamo bene che AdWords si presta spesso ad avere sezioni nascoste o comunque funzioni che poco usate, risolverebbero anche se minimamente implementate un sacco di grane; e per grane intendo di varia natura, non solo in termini di performance, qualunque essa sia, ma anche in termini di velocità di implementazione e/o monitoraggio delle metriche stesse.
Ne approfitto quindi in questo veloce articolo, per ripresentare questi 5 "segreti" che spesso, durante le mie consulenze e/o lezioni, lasciano chi ho davanti con l'occhio vitreo e immediatamente dopo con un sorriso che rimosso dalla bavetta, non fa altro che dire: "figo"!

1. KeyWord Insertion e il tutto maiuscolo
Sappiamo che la pratica di inserire parole tutto maiuscolo non è consentita, ma di fatto lo snippet di AdWords dell'inserimento parola chiave, ha una funzione che prevede questo codice:

{KEYWORD: ... }

Questo significa che la parola chiave evocata dalla query, verrà scritta tutta maiuscola.
Da usare con parsimonia e per brevi periodi. Vero è che semmai la colpa è dello snippet, ma di fatto, seppur leggera è una violazione. Fate attenzione e senza approfittarsene troppo.
Magari è un bug (cough cough... colpetto di tosse...) e qualcuno prima o poi se ne accorgerà.

2. Titolo più lungo negli annunci dinamici
Sappiamo che il titolo ha una lunghezza di 25 caratteri spazi inclusi, ma sappiamo anche che se si usa il sistema degli annunci dinamici, AdWords spesso ne produrrà automaticamente uno più lungo. Fantastico no?

3. Test A+B sugli annunci grazie all'esperimento
AdWords, a prescindere da come configurate la visualizzazione degli annunci, si preoccuperà alla lunga di mostrare solo quelli che performano meglio, generando maggior percentuale di visibilità su quelli che gli piacciono di più! Usando l'esperimento del 50% sul testo degli annunci, sarete sicuri che l'annuncio viene mostrato il 50% delle volte, rispetto alla creatività con la quale lo volete far competere!

4. Value Track su chiave e cambio del contenuto della landing page
Decisamente poco usato, ma così poco che spesso non si sa neanche che esiste. Il value track manda un valore alla pagina (ma non solo alla pagina) che può essere recuperato dal codice e usato per modificare il contenuto. Questo significa che se avete una landing che si adatta al contenuto richiamato, potrete mostrare contenuto diverso, a seconda del valore che il value track vi trasmette!
Vedere anche Monitoraggio dei Clic con Value Track, sulla guida ufficiale di AdWords.

5. Automazione per Bounce Rate
O comunque per performance, si intende! Questo significa che potete fare in modo di aggiustare le offerte o la messa in pausa delle chiavi, non solo con gli aggiustamenti delle potenziate per località device, o pianificazione oraria, ma anche monitorando con costanza i dati che arrivano in AdWords tramite Analytics!

E poi non mi dite che non vi scrivo segreti! Bhé... per qualcuno lo sono! No?

martedì 14 aprile 2015

Corrispondenze generiche in AdWords. Perché usarle?

Scritto da me, questo articolo assume un profumo misterioso, quasi di beffa. Chi mi segue o mi conosce, sa che non sono mai stato un grande fan delle parole chiave a corrispondenza generica, anche perché, dopo che vennero introdotti i modificatori di corrispondenza, tutte le campagne iniziarono a performare decisamente meglio. Tutto però partiva dal CTR. Migliorando la corrispondenza, solitamente, si ha subito un perfezionamento del tasso di clic. Meno impression buttate via, quindi. Se allora la campagna era ben configurata, l'aumento del CTR produceva maggiori conversioni, semplicemente perché gli accessi avevano meno frequenza di rimbalzo!
Ma il marketing cambia, gli inserzionisti si fanno più scaltri e finalmente torna in auge l'idea di comunicazione, quindi di capacità di esprimersi, col risultato che il CTR, oggi, è in aumento su tutte le campagne, ma non necessariamente all'aumento del tasso di clic, migliorano le performance di conversione. E' proprio in questi casi, che ritengo davvero utile tornare alla vecchia scuola.
La corrispondenza generica, torna attuale e credo quindi di poter fornire 5 semplici consigli su come usarla e perché ritenerla interessante (e intrigante), all'interno delle nostre campagne.

Creare awareness
AdWords è molto pericoloso quando usato con la search per generare awareness, abbiamo già scritto che addirittura nella display, è meglio lavorare sulla consideration, piuttosto che sull'awareness.
Tuttavia, l'uso della corrispondenza generica, aiuta in qualche modo a generare un minimo di conoscenza del brand o del prodotto che vogliamo promuovere. C'è da tenere presente che per loro natura, le corrispondenze generiche devono essere domate con attenzione. E' vero che se sono una struttura turistico/ricettiva a Roma e uso come generica hotel a roma, potrei essere interessato a ottenere visibilità con campeggio a viterbo... ma non so fino a che punto sia interessante avere una impression con ristorante ad amstredam!
Usiamo quindi le inverse in modo proattivo, senza aspettare che i dettagli parola chiave ci dicano le query effettive!

Nuovi "tipi" di pubblico
Se attivo la mia campagna pensando a quali parole chiave devo usare per la mia campagna, parto dall'assunto che conosco la mia attività e sopratutto conosco il tipo di cliente al quale è più opportuno destinare il mio messaggio. La parola chiave generica però, apre nuovi scenari.
Potrei scoprire che ottengo clic da quegli utenti che stanno cercando un hotel vicino a una zona di Roma, nella quale c'è più facile accesso al centro storico, a posti dove c'è più vita notturna, o semplicemente dove la ristorazione è migliore. Vero che di default, un piano marketing dovrebbe prevedere queste profilature, ma le query - sopratutto quelle a coda lunga - riservano spesso interessanti sorprese.

Scoprire nuove query / parole chiave
Come avviene per il pubblico, a cascata (o viceversa), abbiamo le nuove idee per le parole chiave. Dal menù dettagli, dentro il TAB "Parole chiave" selezionare "Dettagli > Termini di ricerca > Tutti" se si vuole una visione di insieme, oppure selezionare una chiave e scegliere "Selezionata". Nel primo caso, per vedere quale chiave è stata attivata da quale query, dopo l'accesso al pannello scegliere "Colonne > Modifica colonne > Attributi > Parola chiave".

Attezione al keyword insertion
Già le campagne con le chiavi generiche hanno un CTR tendenzialmente basso, usare il keyword insertion, potrebbe ulteriormente abbassare questa percentuale. Se la mia chiave è hotel a roma, e viene attivata dalla query campeggio a viterbo, inserendo nel titolo lo snippet {KeyWord: Hotel a Roma}, otterrei un titolo di questo tipo: Hotel a Roma. Lontano dalla richiesta del cliente. Quando si usano le generiche, è quindi meglio prevedere anche degli annunci con titoli diversi, meno significativi per chi cerca effettivamente l'hotel a Roma, ma più intriganti per chi cerca altro. Per esempio, un'idea potrebbe essere un titolo di questo tipo: Vuoi provare Roma?

Separare le campagne
Per tutti i motivi di cui sopra, sopratutto per il discorso del rapporto annuncio/chiave, è opportuno tenere le corrispondenze generiche separate almeno dalle corrispondeze a frase o esatte. In questo modo, il traffico effettivamente utile, almeno semanticamente, non farà fatica a capire cosa volete proporre. Il CTR sarà buono e così anche i tassi di conversione.

Insomma... anche ciò che spesso porta solo (o almeno tanti) guai, se addomesticato, riesce a dare risultati assolutamente interessanti.

martedì 10 marzo 2015

Le visite no, non sono un KPI

Leggi, spulcia, parla. Argomenta. Si, magari proprio argomenta, perché di solito chi afferma che le visite sono un KPI, dovrebbe almeno spiegare perché. Se non si è capito (e vuol dire che non è stato letto il titolo) non ritengo che le visite debbano mai essere considerate un KPI. Sopratutto nell'era del digital marketing, nell'era de "l'awareness si ottiene (sul web) con due spicci"... nell'era di una (e più piattaforme) che puoi pagare per ottenere accessi.
Quindi, lor signori mi dicono che posso andare da un cliente a dirgli che l'obiettivo "X" si raggiunge aumentando gli accessi? Bhé niente di più facile. Pago e ottengo, quasi più cristallino di "cogito ergo sum". Solo che Cartesio, con tale locuzione, parte dal presupposto che tutti gli uomini pensano, dunque "sono"; ma se siamo ancora oggi qui a discutere sulle visite come KPI, allora facciamo fiesta. Nel senso del merendino, ma quello tutti i frutti, con la striscia gialla, che ormai è estinto perché non se lo mangiava nessuno.

KPI è acronimo di key performance indicator, quindi indicatore di prestazione. Alias: meglio gira più facile sarà raggiungere l'obiettivo. Ora per raggiungere un obiettivo, è solitamente opportuno partire dal presupposto che l'indicatore deve essere una determinante dettata da altri fattori di analisi che lo elevino da incognita, a fattore chiave.

Poniamo un esempio. Io voglio bere una spremuta di arancia. Nella mia lista della spesa scrivo agrumi e la consegno a qualcuno che avrà l'accortezza di farmi la spesa. Gli do' 2 euro e questi tornerà da me con 1 arancia, 2 limoni, 1 lime e 1 pompelmo.
Prendo l'arancia e ci faccio 1/4 di bicchiere di spremuta di arancia. La mia (scarsa) spremuta sarà costata 2 euro. Un affare! (è ironico eh...)
La volta dopo, sempre assetato di spremuta di arancia, siccome so che le visite (e quindi la quantità) sono un KPI, do' 8 euro (2x4 per fare un bicchiere di spremuta) all'amico che mi fa la spesa.
Ah... che goduria! Una spremuta 8 euro! (sono ironico anche qui eh...)
E quindi? Andiamo avanti così? Facciamoci del male!

Bene... ipotizziamo che il mio cattivo modo di comunicare, conduca quindi visite non idonee al mio obiettivo. Di fatto, quegli agrumi in più, finiranno per fare muffa (personalmente il pompelmo non mi piace neanche... magari col lime ci facciamo un mojito e col limone ci condiamo l'insalata... va...).
Ma di fatto, questi rappresentano un rimbalzo. Sono pure tondi! Dalla busta diretti nel cestino, magari con un bel canestro da tre punti direttamente dalla porta della cucina verso il bidone dell'umido! Oh... via!

Bene. Ma se io a questo punto cambiassi la mia lista? E dicessi all'amico che mi fa la spesa che voglio 2 euro di arance? Caspita... un miracolo. Mi porta solo delle arance. E guarda te. Ho pagato la mia spremuta 2 euro, anziché 8.

Quindi. Prima di affermare che le visite sono un KPI, pensiamo a definire il bounce rate (frequenza di rimbalzo) come primo KPI. I signori (e le signore) che visitano i nostri siti web, sono oro.  Portiamoli per bene sul nostro sito. Non sono agrumi che si vendono al chilo, ma dolcissime arance da scegliere. Lo vogliamo riportare sui social? Belle quelle pagine con 100.000 fan e poi con 3 mi piace a post. Quindi (e due)... KPI per eccellenza? Riduzione del Bounce.